SI MANGIA CON LO STOMACO O CON LA MENTE?

Mangiare non significa rispondere al bisogno fisiologico di nutrirsi, è anche convivio – nel senso latino del termine – piacere, consolazione, rifugio.
È uno dei più importanti atti degli esseri viventi: il cibo è essenziale per la vita, senza c’è la morte, nella scala di Maslow dei bisogni, al primo posto, alla base della piramide, c’è la necessità di nutrimento.
Affinché ci sia la percezione del bisogno di nutrirsi è necessario che i centri cerebrali della sensazione di fame siano integri, mentre il desiderio di mangiare un particolare cibo è in realtà costruito a partire dal significato che l’individuo dà a un certo cibo.
Il confort food, o cibo consolatorio o cibo per l’anima, ha effetto sull’umore se si ha bisogno di essere confortati e consolato a prescindere dal fatto che sia un cibo serotoninergico (ovvero in grado di stimolare la serotonina, l’ormone del benessere, come il cioccolato) ogni cibo è confort food per chi lo considera tale. Può essere il dolce della nonna, la lasagna della mamma o la torta della domenica. Non è quindi il cibo a consolare, ma il significato attribuito a quel cibo, che quindi diventa in grado di consolare quando se ne sente il bisogno e premiare quando una situazione viene ritenuta premiabile. In generale quando il tono dell’umore è depresso o siamo arrabbiati, tendiamo a scegliere cibi più zuccherini e grassi, inoltre tendiamo a mangiare spuntini rispetto a un pasto completo e evitiamo le verdure.
Il cibo è carico di molti significati: pranzare in compagnia rafforza le nostre relazioni: non per niente quando dobbiamo pranzare con degli sconosciuti ci sentiamo a disagio e i ricercatori hanno scoperto che rispetto a bere un caffè insieme o chiamare al telefono, pranzare insieme al proprio ex crea nel partner un aumento più significativo di gelosia. Inoltre la scelta del cibo esprime chi siamo (Vegetariani? Salutisti? Amanti del buon cibo?) e ha il potere di cambiare il nostro umore.
Ma il cibo può anche essere vissuto come una maledizione: quando mangiamo eccessivamente siamo presi dalla preoccupazione di poter ingrassare, quando lo rifiutiamo eccessivamente rischiamo di morire.
Ma è solo lo stomaco a dirci quando dovremmo smettere di mangiare e a farci sentire sazi?
In uno studio condotto da Wansink nel 2005 ai partecipanti veniva chiesto di mangiare della zuppa. A metà delle persone il piatto veniva “magicamente” riempito un po’ per volta da un tubicino posizionato sotto il tavolo, senza che le persone se ne accorgessero. All’altra metà del gruppo venivano invece servite due porzioni di zuppa. In questo modo entrambi i gruppi mangiavano la stessa quantità di zuppa, ma un gruppo era convinto di mangiarne due porzioni, mentre l’altro era convinto di averne mangiato una solo porzione. Questo gruppo riportava di essere più affamato e meno sazio rispetto all’altro.
I ricercatori hanno ipotizzato che questo potrebbe essere dovuto al fatto che per stabilire con precisione quanto abbiamo mangiato e attivare il senso di sazietà il nostro corpo ha bisogno delle informazioni derivanti non solo dal nostro stomaco, ma anche dalla vista.
Per questo motivo bisognerebbe evitare di mangiare in piatti troppo grandi che fanno sembrare la quantità di cibo minore e evitare di mangiare mentre si lavora o si è distratti da altre cose (tv, telefono, ecc.), se l’occhio non vede, lo stomaco non sente.